Per poter osservare il cosmo notturno dobbiamo utilizzare appositi strumenti di precisione, quali telescopio, oculari, montature e camere fotografiche ..
Troverete in questo articolo una introduzione al mondo dell’astrofilia e astrofotografia amatoriale.
I telescopi
Il telescopio è uno strumento ottico con cui siamo in grado di osservare l’Universo, catturando più luce possibile e concentrandola in una superficie di un pollice circa (l’oculare).
Si possono osservare in particolar modo i pianeti del Sistema Solare, le costellazioni e le stelle. Un telescopio è di solito formato da un tubo metallico e da due lenti: l’oculare e l’obiettivo.
L’obiettivo è una lente convergente con generalmente una lunga distanza focale; questa forma sul fuoco un’immagine reale che è riflessa nuovamente dall’oculare.
L’oculare ingrandisce l’immagine e noi possiamo vedere una nuova immagine, che risulta virtuale e ingrandita. Il nostro occhio è posizionato nei pressi del secondo fuoco dell’oculare.
Possiamo dividere i telescopi in tre specie:
i telescopi con lenti, quelli con gli specchi e quelli misti, cioè che usano sia le lenti che gli specchi.
I RIFRATTORI
La componente ottica di un telescopio rifrattore è costituita da un tubo lungo sulla cui estremità frontale è disposto un doppietto (due vetri ottici, o lenti, opportunamente lavorati spaziati in aria) chiamato obiettivo, che ha la funzione di raccogliere e di focalizzare la luce. L’obiettivo svolge sostanzialmente la funzione di prisma: scompone e ricompone la radiazione luminosa in un determinato punto dato dalla lunghezza focale strumentale.
Il tubo ottico, oltre ad assolvere alla funzione di sostegno dell’obiettivo e dell’oculare (o del dispositivo che esamina la radiazione luminosa) evita, dal momento che è chiuso ai due lati, che si verifichi il degrado dell’immagine dovuto ai moti interni dell’aria. L’oculare è un altro insieme di lenti che serve a rendere accessibile all’occhio tutti i particolari contenuti nell’immagine formata dall’obiettivo. I rifrattori possono essere di tipo acromatico, semi-apocromatico o apocromatico in funzione della capacità di focalizzare nello stesso punto la luce di diversi colori.
Un rifrattore è anche adatto a belle visioni terrestri, ma deve avere caratteristiche di una certa qualità.

I RIFLETTORI
Il più usato è il Newtoniano (ha una configurazione del tipo Newton) con obiettivo che non è più a lenti ma a specchio ed è posto in fondo al tubo ottico. Ha poi anche un secondo specchio che devia a 90° il fascio luminoso verso l’oculare.
Un esempio è il noto, classico Newton 114mm. misura che corrisponde al diametro del medesimo specchio:

Riflettore newton con supporto altazimutale da pavimento non motorizzato.
La luce della stella entra da sinistra, percorre il tubo ottico e viene riflessa dall’obiettivo a specchio (Primary mirror) e convogliata verso un secondo specchio (Flat secondary) che la riflette verso un lato del tubo e la manda verso l’oculare, un gruppo di lenti poste un un barilotto di alluminio o acciaio che rende ben visibile ed ingrandita l’immagine.
Telescopi di questo tipo sono più semplici strutturalmente e quindi più economici. Si possono eseguire osservazioni di qualità se abbinati ad una buona montatura.
Si trovano tuttavia in vendita anche in alcuni “mercatoni” sotto casa o a stock con prezzi intorno a 30, 50, 70, 100, 150 euro. Sono reputati come i primi strumenti usati da alcuni neofiti, o per bambini. Sono ovviamente sconsigliati per un uso che va oltre al gioco.
IBRIDI
Un tipo di telescopio “ibrido” è lo Schmidt-Cassegrain:
E’ uno schema ottico di grande fortuna, “reinventato” dalle case produttrici americane circa trenta anni fa e commercializzato in maniera massiccia, specie nella versione da 8″ (20 cm). La loro fortuna dipende in particolar modo dalla loro compattezza, ma nelle pubblicità si sottolineano i vari vantaggi del tubo chiuso.
Frontalmente è presente una lastra sagomata. La sua funzione è di compensare l’aberrazione sferica introdotta dai due specchi. Viene utilizzata anche per sostenere lo specchio secondario. Questo, che è piuttosto grande, è il responsabile di un fattore di otturazione che penalizza un po’ l’incisione dell’immagine. Si noti che il primario è forato al centro per consentire il passaggio del fascio di luce fino al fuoco nell’oculare posteriore.
La lastra correttrice, di solito, reca un trattamento multistrato antiriflesso (come il celestron StarBright XLT) che, per la sua delicatezza, si suggerisce di non pulire troppo frequentemente. In questo tipo di telescopi è particolarmente apprezzata la facilità di collimazione delle ottiche.
Il vantaggio principale di un “tubo chiuso” è che le superfici riflettenti sono al riparo, quindi nè si sporcano, nè perdono la loro riflettività, cosa che succede purtroppo ai telescopi con tubi aperti. Un tubo chiuso è anche meno soggetto ad eventuali turbolenze interne anche se è necessario concedergli un tempo maggiore per raggiungere l’equilibrio termico. Uno svantaggio è costituito dalla facilità con cui l’umidità si posa sulla lastra, un vero e proprio assillo che rende necessario l’utilizzo di un buon paraluce, e talvolta anche dell’azione ripetuta di un asciugacapelli.
IL PEC
La Correzione dell’Errore Periodico, o PEC, è una trovata di alcuni fabbricanti di telescopi che ha la funzione di ridurre l’errore periodico della vite senza fine (dovuto alle irregolarità della forma della vite senza fine), che causa gran parte degli errori di inseguimento del moto orario.
Il PEC consiste in un circuito programmato per memorizzare le correzioni impartite dal fotografo durante una “prova di guida”, per poi ri-eseguirle per tutta la durata della sessione fotografica. L’idea è buona e consente di aumentare la precisione di guida e di alleviare lo stress del fotografo, che con il PEC in funzione deve intervenire meno spesso nelle correzioni.
LA MARCA

Per i meno esperti è senza dubbio un’ ardua scelta.. quella della marca.
Esistono, in base alla considerazione di vari parametri, molte buone marche per telescopi.
Ad esempio la Meade è classificata come la più diffusa al mondo; la Celestron invece come la ditta dalle migliori ottiche al mondo; la SkyWatcher invece rimane a galla a causa della economicità dei propri strumenti.
In base al prezzo, alle prestazioni del telescopio (del peso, della montatura, ma soprattutto dell’apertura) e dell’uso che se ne vuole fare bisogna procedere all’acquisto “sperando” che esso ci riservi grandi soddisfazioni e pochi problemi.
Le montature
Esistono 2 tipi di montature: Altazimutale ed Equatoriale.
I SUPPORTI ALTAZIMUTALI
Permette il movimento in due direzioni: parallela al terreno cioè in azimut (orizzontalmente), e ad angolo retto rispetto al terreno cioè in altezza (verticalmente).
L’altezza, è la distanza angolare verticale, espressa quindi in gradi, di un oggetto rispetto al piano dell’orizzonte.
L’azimut, è la distanza di un oggetto celeste dal Nord dell’orizzonte dell’osservatore. È misurata in gradi , partendo da Nord (che ha valore 0°) in direzione oraria.
È particolarmente indicata per le osservazioni terrestri, per il modo naturale in cui la si utilizza.

Il supporto altazimutale è più comodo da usare ma restituisce diversi problemi, come la rotazione del campo (quando si effettuano lunghe pose) o la precisione di inseguimento.
I SUPPORTI EQUATORIALI
Il più comune è del tipo “alla Tedesca” con il primo asse di rotazione inclinato rispetto alla superficie di appoggio (il treppiedi) che va regolato con un angolo preciso rispetto al piano orizzontale, o al piano di terra, intorno a 42° (corrispondente alla latitudine dalle nostre parti a sud-est di Bari) ed orientato, con una certa precisione a nord, verso la Stella Polare.

Solo in tal modo, stazionando a dovere il telescopio secondo queste ed altre precise istruzioni, con un solo semplice movimento manuale o motorizzato, si potranno seguire facilmente, nel loro moto apparente in cielo, stelle, Luna e pianeti mantenendo l’oggetto nel campo inquadrato anche ad alti ingrandimenti.
Da sottolineare che questi supporti di rotazione (Altazimutale ma anche Equatoriale) negli strumenti base, e poco costosi, non hanno buone regolazioni di precisione e sono traballanti.
Anche con il telescopio munito di movimento equatoriale (da noi fortemente consigliato), l’inseguimento dell’oggetto celeste, ad alti ingrandimenti, può divenire un problema in sistemi più semplici.
Ma nella maggior parte dei casi, in relazione all’acquisto di un primo telescopio, il supporto equatoriale anche “entry level” (EQ1 = equatoriale classe 1) va benino.
Ma io suggerisco, con chiarezza, di partire almeno con il supporto equatoriale denominato EQ2 più stabile e perfettamente motorizzabile.Esso è montato, ad esempio, nel Telescopio Skywatcher 130 S Motor importato dall’Auriga S.p.a.
La montatura EQ2, con un costo leggermente superiore alla EQ1, è più precisa, dolce nei movimenti e può anche essere controllata elettronicamente.
I sensori astronomici
CCD & CMOS – MONOCROMATICI & COLORI
L’offerta di telecamere e camere CCD o CMOS di categoria entry-level ma dotate di funzionalità superiori a quelle delle comuni webcam è in continua crescita, e si assiste ad una continua proliferazione delle offerte anche nel campo specializzato delle autoguide CCD e delle camere CCD raffreddate.
Ma la cosa più importante è che, finalmente, alla crescita delle prestazioni di queste camere corrisponde puntualmente una diminuzione drastica dei prezzi d’acquisto, probabilmente causata dalla debolezza del dollaro americano rispetto all’euro. Pertanto chi si dedica alle riprese digitali dei corpi celesti ha ora a disposizione un’offerta sempre più ampia di modelli, e può trovare più facilmente la camera più adatta alle proprie esigenze e alle proprie tasche.
I SENSORI CCD
Il CCD è un circuito composto da tanti punti sensibili alla luce. Ogni singolo punto restituisce un valore in base all’intensita’ di luce che lo colpisce.
La sensibilita’ del CCD in condizioni di poca luminosita’, come nel caso di usi in astronomia, e’ condizionata da una specie di rumore di fondo che compromette parte delle prestazioni in vicinaza dei limiti minimi di visibilita’.
In termini pratici, le immagini di oggetti poco luminosi risulteranno “sporcate” da un fondo mosso e di tonalita’ variabile molto fastidioso per l’elaborazione delle stesse immagini. Spesso tale disturbo impedisce la corretta percezione dell’immagini e talvolta ne compromette la buona riuscita nonostante l’elaborazione.
Questo rumore di fondo e’ una costante comune a tutti i CCD e si genera spontaneamente a causa della natura dei materiali e dell’impiego elettronico dello stesso CCD, che risponde a tutti i tradizionali fenomeni chimici e fisici generando valori “parassiti” (correnti, tensioni, capacità, etc.) comuni a molti componenti e circuiti.
Nonostante tali valori spontanei vengano previsti e limitati, l’unico modo per eliminarli totalmente (e ottenere immagini precise senza disturbo) e’ quello di portare il CCD a temperature molto basse. Piu’ la temperatura del CCD si abbassa, minore sara’ il valore del disturbo.

Raffreddare un componente elettronico non e’ un’operazione molto semplice e se da un lato le osservazioni invernali ci possono dare una mano (non per il cielo ma per la temperatura!), i mesi piu’ miti e di maggiore visibilita’ rappresentano un problema per i CCD molto sensibili.
I CCD di alto livello per uso astronomico sono sempre dotati di un apposito circuito di raffreddamento, composto da uno speciale componente elettronico che una volta alimentato genera sulle sue due superfici un lato molto caldo e uno molto freddo (in proporzione alla corrente erogata e alle caratteristiche dello stesso componente).
La parte fredda viene messa a contatto con il CCD mentre il lato caldo viene disposto sull’esterno del contenitore, a diretto contatto con dissipatori di calore, spesso ventilati. Questo metodo, presenta il vantaggio di fornire un buon raffreddamento costante al CCD con basse temperature ma presenta anche lo svantaggio di dover essere alimentato e di assorbire parecchia corrente.

I sensori CCD sono molto più sensibili rispetto ai sensori CMOS, questo perchè, essendo prevalentemente monocromatici (a meno che non si utilizzino 3 CCD, uno per il Rosso, uno per il Verde, e uno per il Blu), riescono a catturare più luce in un determinato periodo di tempo (soprattutto IR – vedi immagine sopra) . I CCD come quello sopra, con pixel RGB (red-green-blue)tutti in un unico chip, hanno risoluzioni inferiori rispetto a quelli monocromatici.
Per eseguire fotografie a colori con i sensori CCD monocromatici, bisogna eseguire 3 scatti (1 in R, 1 in G, 1 in B) con appositi filtri in commercio, ed eseguirne la somma con l’aiuto di un software di fotoritocco (come photoshop). Per chi è esperto, si considera anche il canale della luminanza.
I SENSORI CMOS
I sensori CMOS, più economici a parità di risoluzione se confrontati con i CCD, e sicuramente più comodi per i meno esperti perchè A COLORI, sono consigliati per chi è interessato all’astrofotografia “veloce” o poco profonda.
Sono più sconsigliati rispetto ai CCD per l’autoguida poichè sono molto meno sensibili alla luce visibile ma anche IR rispetto ai secondi. Esistono tuttavia degli accettabili compromessi, vista anche la progressiva miniaturizzazione di alcuni modelli (per esempio avere camere di autoguida di dimensione di un oculare è un gran vantaggio quando la si deve usare su una guida fuori asse o su un piccolo rifrattore di guida montato sopra al tubo principale).
Gli usi più comuni dei sensori CMOS di fascia media riguardano le foto ai pianeti. Con pochi scatti è possibile raggiungere notevoli traguardi, senza la necessità di eseguire più scatti con i vari filtri (per avere il colore).
Per esempio, per avere questo risultato (con adeguato telescopio), è possibile reperire in commercio diversi modelli; a partire dai più economici come per esempio gli entry-level Magzero:
Anche per essi, a causa di un maggior rumore di fondo rispetto ai CCD, è consigliata una buona fonte di raffreddamento, per ridurre il moto degli elettroni “parassiti”.
Una economica alternativa ai CCD o CMOS professionali sono le DSLR (che sono CMOS) o le Webcam (anche esse CMOS ma usate per lo più in passato).
LE DSLR
Il recente balzo tecnologico dei sensori CMOS ha reso da un parte sempre più raffinati ed affidabili i processi produttivi delle comuni ‘Reflex’ commerciali, sia economicamente abbordabili e addirittura conveniente preferire questo tipo di acquisto ad una camera professionale e raffreddata.
Certo avere un raffreddamento del sensore è utile anche con questi modelli, è tuttavia possibile raggiungere buoni risultati di astrofotografia anche senza. Il trucco in questo caso sta nel preferire mini pose a lunghe esposizioni.
Se è vero che con i CCD raffreddati e montature equatoriali è possibile lasciare l’otturatore aperto anche per oltre delle ore, con una DSLR è possibile eseguire nello stesso arco di tempo delle mini esposizioni di 1 o 2 secondi ciascuna, ed andare a comporre l’immagine finale con l’aiuto di software.
Con questa tecnica, si potranno andare a ‘sommare’ in post produzione, tutti i vari scatti della serata, ottenendo molte volte dei risultati comparabili (se parliamo di oggetti sufficientemente luminosi, come i Messier), ai sensori di costi enormemente superiori.
LE WEBCAM
A causa della mia passione per la tecnologia, vidi le primi immagini, molto incoraggianti, ottenute con queste telecamerine digitali progettate per il video-chat, e dopo aver scoperto che il loro costo era estremamente contenuto, decisi di acquistarne una (in dettaglio la Philips Vesta) per provare l’acquisizione con il planetario.
La dimostrazione di ripresa e di elaborazione con IRIS mi convinse immediatamente del fatto che si trattava di un approccio interessante. La chiave della qualità di questa tecnologia per l’imaging planetario in alta risoluzione è la capacità di registrare filmati digitali composti da centinaia o anche migliaia di fotogrammi in pochi minuti: questo consente di “battere” in un colpo solo gli effetti negativi che affliggono le riprese planetarie ovvero la turbolenza atmosferica (entro certi limiti) e il rumore elettronico. Infatti un filmato continuo registra sia gli istanti in cui l’immagine del pianeta (o della Luna o del Sole) è spesso deformata da “folate” di turbolenza atmosferica. Ma siccome il filmato è continuo, vengono anche registrate su vari fotogrammi le immagini non disturbate (o meno disturbate) dal seeing.
In realtà, esaminando con attenzione un singolo fotogramma selezionato tra i migliori di un filmato di un pianeta ripreso durante una notte (rara) con l’atmosfera immobile, ripreso con una webcam Philips Toucam, si nota immediatamente che questo fotogramma è molto granuloso e povero di sfumature.
A questo punto entra in gioco la potentissima tecnica della selezione, messa a registro e somma dei fotogrammi, operata da uno dei tanti software (io usavo Registax 4, ma è possibile anche usare la controparte IRIS) creati per questo scopo, e di ottiene il miracolo di ridurre in modo decisivo il rumore, aumentare moltissimo la dinamica ovvero le sfumature tonali delle immagini, esaltare i dettagli e i colori a scapito degli artefatti (generati dai driver della webcam).
Pregi: Facilità di messa a fuoco I software di elaborazione di filmati o sequenze sono gratuiti e molto potenti Bassissimo costo Interfaccia veloce (ma in realtà è USB 1.1, non 2.0)
Difetti:
Rumore elettronico molto elevato
Canale blu molto sporco
Sensibilità non esuberante (con Saturno e i pianeti remoti non si può superare il rapporto focale f/25)
La risoluzione (640×480) è adeguata per le immagini di pianeti, bassa per le immagini del Sole e della Luna
Sensore piccolo
Risoluzione A/D molto deludente: solo 4 bit per canale cromatico + 8 bit di luminanza
I singoli fotogrammi di un filmato sono di bassa qualità a causa del fatto che la banda USB 1.1 non è ampia a sufficienza per reggere un flusso video ampio come quello di una telecamera con risoluzione VGA, e quindi i driver della camera operano una compressione “al volo” del filmato (che è di tipo irreversibile – lossy – cioè che determina una degradazione di qualità non recuperabile a posteriori) che ha lo scopo di far passare l’enorme flusso dati nella stretta banda disponibile.
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Uno dei migliori fotogrammi “singoli” di una ripresa di Saturno, eseguita il 26/12/2003 con Philips Toucam Pro I + filtro IR-Cut + Barlow Baader FFC 3x + Celestron C11 + montatura Astro-Physics 900 GTO. Seeing 8/10. | Il filmato da 700 fotogrammi della stessa ripresa, dopo l’elaborazione con il programma gratuito Registax 4. Si nota immediatamente l’enorme incremento dei dettagli e delle sfumature, in poche parole della dinamica. |
LA MESSA A FUOCO – LA MASCHERA DI BAHTINOV
Quando si usano rilevatori CCD per eseguire scatti notturni, è a volte molto difficile e snervante riuscire a mettere (per i più precisi “perfettamente”) a fuoco l’immagine, questo perchè di solito l’oculare è “occupato” dallo stesso rilevatore.
Utilizzando una maschera di Bahtinov, si riesce a mettere a fuoco con precisione quasi perfetta, in poco tempo.

Dopo aver centrato una stella abbastanza luminosa, basterà posarla davanti all’apertura del telescopio, ed eseguire piccoli scatti di controllo.
Se l’immagine risulterà a fuoco, avremo un risultato come il seguente:

potremo spostare adesso il telescopio su altre stelle, senza dover più toccare il fuocheggiatore, poichè la distanza considerata è sempre infinita. E la messa a fuoco perfetta è “garantita”!